Il Pordenone e la sua città nel Cinquecento
Incontro con Edoardo Villata, Chiara Violini, Simone Andreoni. Modera Roberto Castenetto.
Registrato a Pordenone, mercoledì 15 settembre 2021, nell’Auditorium della Regione, all’interno del programma di Pordenonelegge.
Le donne del Pordenone
di Roberto Castenetto, 10.12.2023
Nella vita di Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone, alcune donne hanno svolto certamente un ruolo importante. Oltre alla madre Maddalena, che tenne unita la famiglia Sacchiense fino alla sua morte, nel 1532, furono presenze significative le sue tre mogli: Anastasia di Giamosa, Elisabetta Quagliati e Elisabetta Frescolini; a cui si deve aggiungere Pantasilea Baglioni, la moglie di Bartolomeo d’Alviano, il conquistatore della città sul Noncello, per conto di Venezia, grazie alla quale ebbe probabilmente l’opportunità di confrontarsi con la grande arte romana di Raffaello e Michelangelo.
Il Pordenone viene nominato per la prima volta in un documento del 26 aprile 1503, dove compare a soli vent’anni come aiutante del padre, che svolgeva allora per il Comune le funzioni di precòne, ovvero di messo e addetto alle stime dei beni immobili e ai pignoramenti. Questa breve annotazione ci fa conoscere un aspetto non noto sulla giovinezza del pittore, dato che sino a poco tempo fa si sapeva solo che nel maggio 1504 era stato protagonista di uno scontro verbale con un giovane di nome Mio di Marostica, il quale aveva tirato un pallone dentro la chiesa di San Giuliano, allora esistente sulla riva sinistra del Noncello, a Borgomeduna. Infastidito, Giovanni Antonio lo aveva apostrofato pesantemente gridandogli: “Ti vegna un canchero”. Come reazione l’altro lo aveva schiaffeggiato e il padre del Pordenone, il magister murarius Angelo da Brescia (Brixiani, Bresciano, come veniva nominato nei documenti), il quale era ancora tutore del figlio, aveva denunciato il fatto alle autorità cittadine. Nello stesso anno Pordenone si era sposato con Anastasia, figlia di maestro Stefano di Giamosa (Belluno) ed era uscito dalla tutela paterna. Da Anastasia avrà due figlie: Cassandra e Regilla. Secondo una nota informazione di Vasari, a causa di una pestilenza «si diede in contado a dipingere a fresco, e di quella arte venne sì pratico, che in quei luoghi gli fu dato il nome di maestro molto valente et espedito»; non sappiamo se sia questo il vero motivo della sua partenza da Pordenone, ma certamente lo troviamo negli anni successivi a Spilimbergo, dove risiede e lavora in varie chiese della pedemontana: Valeriano, Gaio e Vacile.
Dopo gli anni 1511/12, in cui lavora nel castello di San Salvatore a Susegana e a Venezia, ritorna a Pordenone e nel 1513 dipinge il Sant’Erasmo e il San Rocco del pilastro destro del duomo di San Marco, da tutti considerato un suo autoritratto. Si era risposato l’8 maggio 1513 con Elisabetta Quagliati, che gli darà due figlie, Graziosa e Luisa, oltre a una cospicua dote di 200 ducati. Ci sono buoni motivi per pensare che dopo il suo ritorno a Pordenone abbia acquistato, anche grazie alla ricca dote di Elisabetta, una porzione di casa al Ponte di Sotto, che apparteneva al commissario imperiale Giacomo Pona, ritornato a Trento dopo la conquista veneziana della città. Si trattava di una casa che era stata sequestrata anni prima a Benvenuto Ricchieri, coinvolto in una sedizione contro il capitano cesareo di Pordenone, e che in parte era stata restituita alla moglie e alle figlie e in parte era stata assegnata in sorte al Pona, come bene fiscale.
Qui entra in scena un’altra donna importante per il Pordenone, ovvero Pantasilea Baglioni, la quale dovette sostituire il marito nel governo della città, dopo la sua morte, avvenuta del 1515. Giovanni Antonio era entrato in confidenza con Bartolomeo, nei brevi periodi in cui questi aveva soggiornato in città, tra battaglie e una lunga prigionia, ma soprattutto con la moglie, tanto che questa gli commissionò un affresco della Madonna con Bambino e Santi nella chiesa di Santa Maria di Alviano, probabilmente per commemorare l’anniversario della morte del consorte nel 1516, oltre a numerosi fregi nel castello della cittadina umbra. Sappiamo che Pantasilea, il 12 gennaio del 1518 gli intestò un terzo di un maso ereditato dalla moglie Elisabetta Quagliati, che faceva parte dei beni fiscali del Castello ubicati a Villanova, definendo Giovanni Antonio, nella lettera indirizzata a Girolamo Rorario, «pictoris quem ex corde diligimus», ovvero «il pittore che amiamo di cuore». È possibile che la Baglioni, la quale governava Pordenone per conto del figlio minore Livio, in questo periodo abbia intestato al pittore anche la porzione di casa addossata alle mura cittadine, presso la porta Furlana, anch’essa appartenente al fisco, e adiacente alla porzione che Giovanni Antonio aveva acquistato in precedenza dal Poma. Dopo un viaggio a Roma, che sarebbe avvenuto nell’autunno del 1519, proprio lì Giovanni Antonio avrebbe dipinto il fregio dello Studiolo, dove è palpabile la sua gioia per avere ottenuto il luogo più bello della città, con una veduta unica sul Noncello e la Porta di Sotto, ma anche la sua consapevolezza di essere ormai uno dei grandi del suo tempo, tanto che nell’agosto del 1520 è chiamato a Cremona, dai massari del duomo, per l’esecuzione degli affreschi su tre arconi della parete destra della navata centrale verso la controfacciata e della controfacciata stessa.
L’ultima moglie del Pordenone fu Elisabetta Frescolini, sorella di pre Teolfilo e del notaio Pietro Antonio, che curò gli affari di famiglia negli ultimi anni della vita del pittore e dopo la sua morte improvvisa, avvenuta a Ferrara nel 1539. Furono anni di grandi soddisfazioni per lui, sempre in competizione con Tiziano nelle commesse veneziane, ma anche anni segnati da una grave lite con il fratello minore Baldassarre, iniziata proprio nel 1533, dopo il matrimonio con Elisabetta, celebrato il 1 aprile. Ritroviamo Elisabetta, con il figlio Curio, di pochi anni, mentre affronta il difficile periodo successivo alla morte del marito. Nel 1540 probabilmente è ancora a Venezia, dove il Pordenone si era trasferito dopo la lite in famiglia, quando è chiamata in castello a Pordenone per ricevere l’investitura dei beni che il marito aveva avuto in feudo, ovvero un mulino a Rorai e la casa di Pordenone «in Contrata Magra quae fuit quondam ser Iohannis Iacobi Pona de Tridento», ovvero della casa che «fu del defunto Giovanni Giacomo Pona di Trento, posta all’inizio della Contrada Maggiore» e che era stata acquisita anni prima da Giovanni Antonio, come abbiamo visto. Infatti, al suo posto si presentò con una procura il fratello notaio. Doveva però essere ritornata a Pordenone nel 1543, quando affitta a Battista Sut da Villanova le terre a suo tempo assegnate da Giovanni Antonio. Nel 1549 deve restituire la dote di duecento ducati ai fratelli, come si usava allora in caso di morte del marito e nel 1554 concede a Giovanni Antonio Calderari, allievo del Pordenone, un cortivo in borgo Sant’Antonio. Nell’atto, scritto sempre dal fratello, viene definita «pudica domina Elisabete relicta quondam ser Iohanni Antonii pictoris celleberrimi de Portunaonis». Ci piace ricordarla così, mentre continua ad occuparsi degli affari di famiglia e ad accompagnare il figlio, sia pur ormai maggiorenne, a districarsi nelle complesse vicende pordenonesi, che lo costrinsero pochi anni dopo, nel 1557, a difendere la proprietà di un piano della casa acquistata dal padre da Bernardina Ricchieri, nel 1528, sempre nel palazzetto di Piazza San Marco, che un altro Ricchieri, Ettore, considerava ora illegittimamente ceduta dalla parente.
1 Pordenone, Duomo di San Marco, Giovanni Antonio de’ Sacchis, San Rocco.
2 Alviano, chiesa di Santa Maria Assunta, Giovanni Antonio de’ Sacchis, Madonna e Santi con donatore inginocchiato (Bartolomeo d’Alviano), 1516.
3 Ricostruzione ipotetica della Porta Furlana e della casa del Pordenone, Gianluigi Magri, Disegno 3D.