Chiesa del Cristo.
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Chiesa di Santa Maria degli Angeli
«A.D. MCCCIX TEMPLUM HOC AEDIFICATUM A.D. MDCCLX RESTAURATM»: sarebbero queste due le date fondamentali della Chiesa di Santa Maria degli Angeli, sulla base di un’iscrizione lapidea murata in una delle sue pareti, citata da Valentino Tinti, ma scomparsa. Secondo Ernesto Degani, «la chiesa di Santa Maria degli Angeli fu fondata dalla confraternita dei Battuti insieme coll’annesso ospedale e dotata fin dai primi del secolo XIV» . Si trattava dunque in origine di una chiesa romanico-gotica, poi rinnovata in senso neoclassico nel 1760, quando, furono «distrutti gli archetti pensili sottostanti al tetto, chiuse le finestre e le porte ogivali laterali, tappato il grande rosone della facciata, alzate di quasi un metro le pareti al fine di permettere la realizzazione di un soffitto in luogo delle belle capriate a vista e intonacato l’esterno per lo più costituito da fughe di mattoni» ( Del Zotto). Così si presentava la chiesa ai Pordenonesi fino al 1967, anno in cui il restauratore Giancarlo Magri scoprì il ciclo di affreschi trecenteschi della chiesa primitiva. Da allora si iniziò a capire meglio la storia del piccolo tempio cittadino, detto chiesa del Cristo, sia perché sino ad allora l’unica opera d’arte di rilievo in essa esistente era stata la bellissima scultura quattrocentesca del Redentore, posta ancora oggi sull’altare maggiore, sia perché tale scultura era considerata miracolosa, come più volte ricorda Giovan Battista Pomo nei suoi Comentari Urbani: «Adì 22 maggio 1729. Castigati da continue pioggie che riportano non poco pregiudicio a queste nostre campagne, con escressenza de’ fiumi fu ordinata in hoggi in questa città una solenne processione con l’intervento d’ambi due scole, delle fraterne e di quantità di popolo, andando a cantare una messa solene all’altare del miracoloso Crocifisso in chiesa delle rev. monache di sant’Agostino di questa città, perché Iddio Signore voglia esaudirci a mandare il buon tempo».
Fino a poco tempo fa si credette anche che nel “Campiello del Cristo”, ove essa si trova, fossero esistite un tempo due chiese: quella di Santa Maria dei Battuti e quella di Santa Maria degli Angeli; ma si tratta di un equivoco sorto per il fatto che i Battuti avevano il proprio ospedale esattamente davanti alla chiesa di Santa Maria degli Angeli; ospedale che era anche sede e oratorio della confraternita, tanto che nel 1665, quando la chiesa di Santa Maria degli Angeli fu assegnata alle monache agostiniane, che a ridosso della stessa avevano costruito un monastero, i Battuti dichiararono che avevano già da tempo provveduto a dotarsi di «un oratorio capacissimo» (Muzzatti). In tale oratorio essi rimasero fino al 1771, allorché le monache si trasferirono nel convento di San Domenico. Solo in tempi recentissimi si è avuta la conferma di tale situazione, dopo che, alla fine degli anni novanta, sempre Giancarlo Magri, scoprì gli affreschi, trecenteschi e cinquecenteschi, dell’antico oratorio (Magri).
Si può pertanto dire ormai con certezza che è esistita sempre un’unica chiesa dei Battuti, detta di Santa Maria degli Angeli, soprannominata poi in età moderna chiesa del Cristo. Di fronte a tale chiesa sorgeva l’hospitale dei Battuti, probabilmente sorto alla fine del Duecento. Alla chiesa della confraternita furono concesse parecchie indulgenze lungo i secoli. Nel 1319 da Avignone il Pontefice concedeva quaranta giorni d’indulgenza a chi, in determinate circostanze, l’avesse visitata ed aiutata. Il 12 agosto 1396, Gualtiero, vescovo di Ancona, trovandosi a Pordenone, concedeva ugualmente quaranta giorni di indulgenza a quelli che avessero assistito alle Messe, fatte celebrare nella chiesa dai Battuti o avessero partecipato alle processioni del sodalizio. Un’indulgenza di quaranta giorni concedeva anche il vescovo di Concordia Enrico di Strassoldo il 13 aprile 1413 (Del Zotto).
Una prima modifica strutturale all’edificio fu compiuta verso la metà dei Seicento, dopo che nel 1595 il Provveditore e Capitano di Pordenone propose in Consiglio «che per degna et compita commodità delle monache del nostro monasterio sia concesso loro, per coro et per oratorio, il coro maggiore della chiesa di Santa Maria, con le due cappelle annesse, et tutte si siano serrate et chiuse in un corpo, et fatto un altare alla romana fuori di esso coro, et per il Crocifisso maggiore sia fabbricata una cappella di quel modo che da intendente sarà consigliato. Tutta la spesa di questo novo coro et cappella sia fatta dall’ospedale, giuspatrono della chiesa» (Del Zotto). Un intervento più radicale fu quello già ricordato del 1760, che lasciò la chiesa sostanzialmente immutat, fino ai lavori di ripristino del 1946, resisi necessari a causa delle bombe cadute su Pordenone il 28 dicembre 1944, che causarono il crollo del tetto comprendente il soffitto affrescato da Pietro Venier e altri gravi danni; in tale occasione il Pittore Tiburzio Donadon (1881-1961) decorò con gusto settecentesco, coerente con le forme della chiesa neoclassica, «i fondali delle pareti, con specchiature a finta tappezzeria: i basamenti e le lesene riquadrati da variegati tipi a finto marmo» (Magri). Infine nel 1963 fu eliminata l’intonacatura esterna e nel 1967 ci fu il già ricordato scoprimento degli affreschi della chiesa trecentesca, interventi questi che portarono al ripristino dell’aspetto originario di una parte della facies della chiesa.
All’esterno della chiesa risulta importante il portale (1510) della scuola di Giovanni Antonio Pilacorte, con lunetta dedicata alla Vergine in trono tra due angeli; la porta laterale sud (1555), è invece sormontata dalla scultura di San Rocco (sec. XVIII), proveniente dal demolito oratorio di San Filippo Neri. Il campanile infine, dalla caratteristica forma a torre, è di architettura romanica costruito in laterizio. La cella campanaria è aperta da quattro bifore e sostenuta da una semplice copertura quadrilobata in cotto.
Internamente la chiesa presenta un significativo ciclo di affreschi di scuola Vitalesco-Tommasesca. Entrando, sulla sinistra, nel più basso dei tre registri che un tempo decoravano completamente la parete, è raffigurata con dovizia di personaggi e particolari la Natività. Interessante è la positura del Bambino, fasciato e sdraiato a pancia in giù, che si volge alla Madre tenerissima, inginocchiata con le mani giunte, mentre dal cielo un gruppo di angeli festanti si dirigono verso la capanna. Più avanti, comincia una teoria di Santi, circoscritti da una nicchia gotica trilobata, fra i quali la Maddalena dai lunghissimi capelli dorati, San Domenico, San Giovanni Battista, San Francesco e San Pietro. Subito dopo, nel registro mediano si riconosce la parte inferiore di San Giorgio, con lo scudo e una lancia, intento a trafiggere il drago. Nel registro più alto c’è il lacerto di una Crocifissione: della figura di Cristo rimane il tronco superiore e ai suoi lati si scorgono i volti della Vergine e San Giovanni. Dopo un altare neoclassicheggiante, con la statua di Sant’Antonio, si trova il cosiddetto Cristo della Domenica, il cui corpo è tormentato dagli attrezzi di lavoro, originariamente collocato nella parete opposta. Il secondo altare è dedicato alla Assunta e alla sua destra si trova l’immagine più bella di tutta la parete Nord, la Madonna dell’Umiltà, in atto di allattare il bambino, la quale sovrasta l’entrata nella Sagrestia. Seduta su dei cuscini, con tronco leggermente ammantato. La Vergine, soave e grandiosa, sorride lievemente a chi la guarda, in un nimbo di luce dorata che fa da aureola al Figlio, con una corona di lievi cherubini.
Nell’arco santo, ai lati del fronte, sono raffigurati l’Angelo Annunziante e la Vergine Annunciata. Nei due pilastri si trovavano un tempo le figure di San Francesco e Sant’Antonio Abate. Nella facciata interna del pilastro sinistro si trova la figura di San Giacomo maggiore Apostolo. Al centro dell’altare sta il bellissimo crocifisso ligneo del Maestro Giovanni (1466-67).
Nella parete destra, dopo l’altare con la statua di San Giuseppe e quello con la pala di Pompeo Cibin (sec. XIX) raffigurante L’Educazione della Vergine, con Santa Lucia e Sant’Ambrogio, si trova un vasto sistema di affreschi posti a fianco e sopra la porta laterale gotica. Nel primo registro ci sono alcuni lacerti in cui si riconosce un cavallo riccamente bardato con il suo cavaliere e la figura di San Giobbe orante, con le mani giunte e il volto sofferente: sullo sfondo una città turrita. Sopra, nel registro mediano, il riquadro è occupato dalla Fuga in Egitto, con la Madonna assisa sull’umile asinello e dolcemente legata al Figlio da un abbraccio protettivo, San Giuseppe tradizionalmente anziano e un vigoroso villico con un fardello sulla spalla. Nel registro più alto è visibile San Liberale, reggente con la mano sinistra un libro chiuso e con la destra l’asta di una bandiera sventolante, di color rosso porpora, con il simbolo della croce. A sinistra della Fuga in Egitto, è raffigurata una santa coronata, il cui volto è di raffinata bellezza, con le spalle ignude e il corpo restante rivestito di una elegante tunica verde. Nel registro inferiore, a sinistra della porta gotica, un Santo Vescovo con mitra regge il pastorale.
Nella controfacciata, in alto sono posizionati lacerti di affreschi staccati dalle altre pareti; abbiamo così da sinistra: Sant’Ilarione, Santa Barbara, degli inizi del sec. XVI e attribuita a Gianfranco da Tolmezzo, Sant’Antonio Abate, con il maialino sottostante, Santa mutilata per metà, Addolorata, frammenti non identificabili, Santo Vescovo e, infine, San Francesco. Nella loro posizione originaria si trovano invece, nella parte sinistra della controfacciata, una porzione di Santo Vescovo e la figura di Santa Chiara, con tratti del volto di straordinaria dolcezza; in posizione più centrale Santa Veronica, che tiene spiegato il sudario su cui Cristo avrebbe lasciato la sue sembianze e a destra un Vescovo con mitra, dai lineamenti sobri e ieratici, che tiene con la sinistra il pastorale e con la destra benedice. Ai lati, l’Angelo Annunziante e l’Annunciata, che secondo Giancarlo Magri «evidenziano strette analogie con gli Angeli della Natività» (Magri).
Completano l’arredo plastico-pittorico della chiesa, l’affresco del soffitto, in cui è rappresentata l’Assunta, opera di Tiburzio Donadon, e le stazioni della Via Crucis, dipinte dal suo allievo Giancarlo Magri nel 1965.
Dal 1950 la Chiesa di Santa Maria degli Angeli dipende dal Duomo di San Marco. Il suo titolo ha dato il nome all’ospedale cittadino, il cui logo riprende i contorni dell’antica icona (sec. XVI), del tipo Eleousa, “pietosa”, appartenuta alla confraternita dei Battuti e ora conservata nel Museo Diocesano di Arte Sacra.
Bibliografia
Degani E., La Diocesi di Concordia, Udine, 1924.
Del Zotto C., I Battuti in Diocesi di Concordia, Tesi di laurea Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 1967-68
I Battuti nella Diocesi di Concordia-Pordenone. Studi in memoria di monsignor Cesare Del Zotto, , a cura di Roberto Castenetto, Centro culturale Augusto Del Noce- Edizioni Lito immagine, Pordenone 2014.
Magri G., L’hospitale di Santa Maria di Pordenone, in Giancarlo Magri, fra pittura e restauro, vol. 2, a cura di Angelo Crosato, Pordenone, Centro culturale “Augusto Del Noce” – Lito immagine, 2011.
Magri G., La chiesa di Santa Maria degli Angeli, in Giancarlo Magri, fra pittura e restauro, vol. 2, a cura di Angelo Crosato, Pordenone, Centro culturale “Augusto Del Noce” – Lito immagine, 2011.
Muzzatti V., La chiesa del Cristo – Spigolature storiche, Pordenone, 1946.
Pomo G. B., Comentari urbani, a cura di Paolo Goi, Fiume Veneto, Geap, 1990.
Valentinelli G., Diplomatarium Portusnaonense, Edizioni Concordia Sette Pordenone, 1984.
Tinti V., Breve compendio di varie notizie dell’antica dinastia di Pordenone, Venezia 1937.