Ritrovato quadro di scuola pordenoniana

Un’importante scoperta per la comprensione dell’opera di Giovanni Antonio de’Sacchis e della pittura pordenoniana è avvenuta in questi giorni, dopo che una signora della Carnia ha contattato il restauratore Giancarlo Magri, per un giudizio su alcuni dipinti di proprietà della famiglia da alcune generazioni. In uno di essi è rappresentato il Giudizio di Traiano. Magri ha associato il dipinto all’affresco realizzato da Pomponio Amalteo nella Loggia municipale davanti alla cattedrale di Ceneda (Vittorio Veneto), accanto al Giudizio del profeta Daniele e a quello di Salomone, sulla base di disegni del suocero Giovanni Antonio de’ Sacchis. Ciò è stato già ampiamente dimostrato da Charles Cohen, il quale ha riconosciuto l’impostazione grafica degli affreschi cenedesi in due disegni del Pordenone conservati all’Ambrosiana di Milano e al Louvre. Sappiamo che l’affresco di Vittorio Veneto è stato poi riprodotto nel Settecento a bulino da Andrea Zucchi e dal pittore Danin, inviato espressamente da Canova per avere una copia fedele dello stesso.
Che cosa aggiunge a tale sequenza il quadro ritrovato in Carnia? Si tratta probabilmente del lavoro preparatorio all’affresco cenedese. Si nota infatti, come scrive Magri nella relazione tecnica all’intervento manutentivo, “che la composizione non è strettamente coerente alla scena affrescata, differenziandosi con piccole varianti non corrispondenti alle movenze dei personaggi, né allo scorcio paesaggistico delle nubi e dei caseggiati, né ai motivi architettonici della porta della Città, dei palazzi e della muraglia, né, infine, alla impostazione del volto di Traiano, che nell’affresco appare di profilo. La stampa di Andrea Zucchi invece rispecchia fedelmente l’opera dell’Amalteo, proprio perché successiva alla stessa”.
“Il dipinto, giuntoci con tutte le problematiche traversie del tempo, – continua Magri – non ci facilita ad esprimere un giudizio dall’esito conclusivo sulla qualità esecutiva ed una attribuzione, anche in carenza di informazioni attendibili, ma si tratta di opera di notevole rilievo dal lato storico, anche in considerazione che attualmente è l’unico esempio dipinto ad olio che si conosca con questo tipo di raffigurazione. Di fronte a questa testimonianza si può supporre un probabile studio preparatorio all’opera affrescata”.
Secondo vari studiosi l’affresco di Ceneda fu commissionato al Pordenone dal patriarca di Aquileia Marino Grimani, nel 1534-35. Il cardinale Grimani era un tipico rappresentante della schiatta dei prelati-epuloni che segnò la Chiesa rinascimentale e le attirò il flagello del Protestantesimo: nipote del potente cardinale Domenico Grimani e perciò subito introdotto nella Curia romana, egli fu educato dai migliori umanisti; fu raffinatissimo intenditore e protettore di arti e artisti, colto bibliofilo, collezionista di antichità classiche e di donne, ma soprattutto fu raccoglitore insaziabile di benefici ecclesiastici, fino a detenere – oltre a innumerevoli prebende minori, come la commenda dell’Abbazia di Sesto al Reghena – il governo del Patriarcato di Aquileia, del Vescovado di Ceneda e del Vescovado di Concordia. Al Grimani interessava soprattutto la rendita che derivava da quelle prebende, rendita destinata a alimentare il suo sfarzoso stile di vita principesco, ma anche per dare avvio a ambiziosi progetti edilizi e artistici nelle città residenziali delle sue diocesi. Tra il 18 dicembre 1531 e il 20 febbraio 1540 il cardinale Marino tenne l’amministrazione apostolica della Diocesi di Ceneda ed è probabile che, proprio per favorire il suo ingresso in città, il cardinale affidasse al rinomato pittore pordenonese l’incarico per un fastoso ciclo figurativo da eseguire nella Loggia comunale: all’eminentissimo il merito di convocare il famoso pittore, alla comunità cenedese l’onere di pagare l’opera. È altrettanto probabile che il Pordenone avesse tracciato il disegno dell’affresco per il cardinale, ma poi, a causa dei suoi numerosi impegni, ne avesse lasciato l’esecuzione al genero Pomponio Amalteo, responsabile della sua bottega. Così il quadro appartenente alla famiglia carnica potrebbe costituire la fase di passaggio dal disegno all’effettiva esecuzione “a fresco”: una sorta di “prova colori”.
Il soggetto della Giustizia di Traiano, in cui l’Imperatore rimanda la propria partenza in guerra per risarcire una donna supplicante cui era stato ucciso il figlio, assieme agli esempi di giustizia del Vecchio Testamento, era uno dei modi in cui nel Cinquecento si volevano rappresentare le virtù civiche appunto della Giustizia (Traiano), della Temperanza (Daniele) e della Saggezza (Salomone).
Il quadro ritrovato in Carnia, che misura cm 85,5 x 132,5, proviene certamente dalla Destra Tagliamento, dato che la famiglia dei proprietari ha tra i propri ascendenti un noto casato di Pordenone, per via materna, e una benestante famiglia di Maniago, per via paterna. Ma tutte le problematiche sollevate dalla scoperta del quadro pordenoniano saranno oggetto di una comunicazione nel convegno su “Il Pordenone e la Signoria Liviana (1508-1537), che si terrà il 17 ottobre, nell’Auditorium dei santi Ilario e Taziano di Torre, organizzato dal Centro culturale Augusto Del Noce.

Giancarlo Magri
Giordano Brunettin
Roberto Castenetto