Augusto Del Noce e Giussani: contributi per un dibattito

Al termine del centenario dalla nascita di Luigi Giussani (1922-2005), pubblichiamo alcuni contributi sul suo rapporto con Augusto Del Noce (1910-1989).

Augusto Del Noce                            Luigi Giussani
Del Noce e Giussani: note sul problema della conoscenza
di Matteo Candido
Del Noce ha parlato del Movimento di Comunione e Liberazione come risposta sociale cristiana efficace, nel periodo della secolarizzazione: così, ad esempio, in uno scritto su ‘il Sabato’ del 4 febbraio 1987, il filosofo invitava ad ascoltare Giussani, che era intervenuto ad Assago, contro l’idea diffusa e confusa, in molti cattolici impegnati, riguardo all’autonomia della politica dalla morale e dalla religione.
Si può dire che Del Noce non era interessato direttamente all’argomento primario che interessava a Giussani, ma la sua impostazione filosofica generale non era estranea a questa problematica.
L’esperienza primaria, elementare, l’evidenza-esigenza di fondo che Giussani vede alla base della conoscenza umana, che precede l’intelligenza razionale, e che le dà il crisma della certezza e della sicurezza nel cogliere la realtà, Del Noce l’ha trovata in Cartesio, nel suo proposito di superare l’ostacolo che blocca del tutto l’oggettività della conoscenza, presente nello scetticismo dei libertini. Cartesio lo supera, non negando lo scetticismo, ma portandolo alla conseguenza estrema, quando la negazione è costretta a trasformarsi in affermazione. Nel negare l’estrema intima realtà delle conoscenze, quella del ‘io’ che nega, esperimenta una permanenza incancellabile. Che non è un sentire, un esperire come sentimento o sensazione momentanea, ma l’avvertire una scaturigine dal profondo di me stesso, frutto di fredda ragione e glaciale intelletto, contro cui ci si sente impotenti. Come infatti non capire e non dover accettare, a condizione di darmi dello stupido, se, quando nego di esistere, per lo stesso fatto ed esercizio di negarmi affermo la mia esistenza?
È una certezza lampante, una luce abbagliante, e come davanti al sole, impedisce di vedere. È una certezza e chiarezza del mio io di cui però non conosco niente, oltre l’esistenza, ne ho coscienza ma non scienza.
Pascal non riconoscerà l’oggettività di questa conoscenza-esperienza-intuizione- sensazione di Cartesio, per la presenza nell’uomo del peccato originale. La nostra natura – tutte le sue facoltà, compresa la filosofia e i suoi principi – è corrotta e non può dare certezze e sicurezze. Occorre ripiegare sulla fede, da cui solamente arriva la verità. Siamo al fideismo.
A questa stroncatura pascaliana, risponde però subito Malebranche, che vede la ragione implicata nella fede, per il fatto che la stessa creazione dell’universo, e quindi della natura umana, non si può pensare che all’interno dell’incarnazione del Verbo, ritenendo non concepibile un agire di Dio al di fuori di se stesso se non implicandosi. Un ‘fine’ al di fuori di sé lo farebbe dipendente.
L’universo, l’umanità, l’uomo non possono essere visti che in Dio, nel Verbo. Hanno un fondo di infinità che non può che sfuggirci.
Le analisi minuziose che Giussani fa sull’io e sulla sua misteriosità, sono affascinanti, ed è fruttuoso fermarvici, ma non possano aver fondamento, né certezza o sicurezza, che nel Verbo e non su analisi umane.
Bisognerebbe riflettere, ad esempio, sul fatto che il nostro ‘io’ non è permanente, non è sempre consapevole. Periodicamente noi usciamo da noi stessi, come nel sonno, quando non sappiamo di esistere, ‘spariamo’, perciò. E, come l’eclissarci, anche il riapparire non dipende da noi. ‘Dove’ finiamo in questi momenti? Ancora: nello sparire non ci annulliamo del tutto, perché riapparendo riacquistiamo tutto quello che avevamo prima. ‘Dove’ e ‘come’ , allora, finisce il nostro io in queste sue ‘pause’?
La soluzione va forse cercata nel fatto che siamo tutti nel Verbo, e nel fatto che mentre il nostro ‘io’ ha bisogno di una lunga introduzione prima di essere efficiente e consapevole, l’io’ del Verbo, che non è umano, è efficiente e in atto sempre, fin dall’inizio della sua natura umana. Finiamo quindi in Lui, e persistiamo grazie a Lui.

L’INCONTRO DI AUGUSTO DEL NOCE CON COMUNIONE E LIBERAZIONE

di Matteo Candido (pubblicato nel Quaderno n. 2 del Centro culturale Augusto Del Noce, 2007)

  1. INTRODUZIONE

Se si prende in mano il libretto di Socci-Fontolan: ‘13 anni della nostra storia/1974-1987’ (uscito nel ‘88 e che raccoglie 4 articoli apparsi sul settimanale ‘Il Sabato’ nell’87) e si confronta lo scritto di Augusto Del Noce, premesso come introduzione, e gli interventi, in appendice, di alcuni intellettuali cattolici (docenti universitari, senatori, deputati, religiosi, giornalisti), non si può non restare colpiti dalla contrapposizione delle valutazioni riguardanti questo saggio di storia-cronaca stilato dai due giovani giornalisti del Movimento di Luigi Giussani (1).

Del Noce: ‘La storia di Socci e Fontolan mi ha procurato la più gradita delle emozioni… quella di sentirsi vicino i giovani su cui pure non ha esercitato un’influenza diretta.  …Ho apprezzato il rilievo del nesso ferreo e della rigorosa razionalità che intercorre tra tutte le manifestazioni culturali del quarantennio democristiano…’

Gaiotti: ‘L’indecente, al limite del ridicolo, riscrittura della nostra storia recente, affrontato da due giovanotti del Sabato…’

Tassani: ‘Tra i suoi vari deficit culturali, in trent’anni declamati di vita, è ancor più certo che ora, dopo quegli scritti, Cl annoveri un sicuro deficit anche sul piano storico…’

Rosati: ‘La storia del Sabato va segnalata come un modello di manipolazione e di alterazione delle vicende e degli avvenimenti dei protagonisti di un intero ciclo politico.’

Sorge: ‘Quella del Sabato è una ragazzata fatta da ragazzini irresponsabili.’

Scoppola:‘E’ una interpretazione manichea e delirante della storia più recente.’

Gozzini: ‘I polemisti del Sabato e i loro colleghi mi fanno pena per la loro rozzezza  culturale l’assoluta mancanza di senso storico, per il ritardo nell’informazione storiografica e l’ignoranza dei risultati degli studi specialistici.’

Un contrasto di posizioni più netto non si potrebbe riscontrare. Possiamo  anche concedere che i due giovani giornalisti, per temperamento o per animosità o per faziosità, si siano lasciati andare e che meritino perciò le reprimende da parte di esperti e di competenti; e che questi inoltre giustamente si indignino contro le supponenze, le leggerezze, le ‘ragazzate’ di alcuni ‘irresponsabili’. Ma sarebbe azzardato essere dello  stesso avviso quando ci troviamo di fronte al filosofo-storico della grandezza di Del Noce, la cui competenza e correttezza è riconosciuta da tempo anche a livello internazionale. Per limitarci  ad un solo giudizio, riportiamo quello lontano dello studioso Henri Gouhier dell’ Università di Lilla, il maggior studioso di Malebranche. Egli nel 1939 a proposito di un lavoro di Del Noce, ancor fresco di laurea, scrisse sulla rivista ‘Revue Internazionale de Philosophie’ che il nostro era  ‘un des historiens de Malebranche le plus compétent’ -Del Noce esordì nei primi anni del ‘30 con un’analisi storico-filosofica del pensiero e dei filosofi del ‘600-; che accoppiava all’erudizione un senso straordinariamente vivo delle antinomie critiche della filosofia del ‘600; e che la bibliografia malebranchiana di Del Noce era la migliore esistente sull’argomento (2).

Del Noce dopo di allora è stato sempre sulla breccia, e per oltre mezzo secolo non c’è stata questione etico-politico-filosofica caratterizzante la storia moderna, che egli non abbia affrontato; fu così anche nei riguardi dei ‘13 anni’ qui considerati, quando si assistette all’introduzione in Italia delle leggi del divorzio e dell’aborto, nonché al rifiuto popolare del referendum abrogativo del primo, e mentre alla guida della nazione si trovavano proprio i cattolici. Dell’opera di Del Noce sono testimonianza corposi libri e una copiosa produzione di saggi e di articoli apparsi su svariati fogli e giornali, fino agli ultimi giorni di vita, e che Gian Franco LAMI ha minuziosamente elencato in una dettagliata bio-bibliografica del filosofo (3).

  1. DEL NOCE E SCOPPOLA

Per analizzare convenientemente la contrapposizione sopra indicata poniamo a confronto Augusto Del Noce e Pietro Scoppola. Di essi abbiamo l’opportunità di una presentazione che ciascuno dei due ha fatto di sé stesso. Il primo la fece al III Convegno Nazionale di Studi della DC svoltosi nel 1963 a S. Pellegrino Terme. All’inizio della sua relazione egli si presenta  ‘come filosofo della storia o come filosofo che ha riconosciuto il suo compito nel pensare il suo tempo’ (4). Scoppola, docente di Storia contemporanea alla ‘Sapienza’ di Roma, si dice ‘studioso di storia che ha concentrato la sua attenzione su gruppi e figure che nel cattolicesimo italiano ed europeo hanno cercato il confronto con il mondo e la cultura moderna, favorendo e sollecitando nel corpo intero  della Chiesa quella maturazione e quei chiarimenti che oggi portano il magistero a distinguere fra le diverse forme della secolarizzazione per accettare quanto essa ha di positivo’(5).  E partiremo dal libro ‘<La nuova cristianità> perduta’ da cui abbiamo tratto la frase appena citata. Lo scritto di Scoppola apparve nel 1985, negli stessi anni quindi del libretto da cui siamo partiti. In esso Scoppola si rifà a Jacques Maritain dell’‘Humanisme intégral’, dove il filosofo francese dichiarava improponibile nel 1936 una ‘Cristianità’ quale quella avutasi nel MedioEvo, e ne indicava un’altra, più rispondente a ciò che di valido era emerso con il mondo moderno; una ‘Nuova Cristianità’, appunto. Scoppola nega decisamente che si possa oggi avere una cosa del genere, e non per altre motivazioni se non perchè incompatibile con la natura e la finalità del Cristianesimo. La Religione non dovrebbe più rivestire una forma giuridica, pur senza ridursi a ‘Chiesa delle catacombe’. Essa ha da limitarsi a svolgere un’azione sociale, senza una specifica struttura politica, che veda i cristiani organizzati per esprimere esigenze soprannaturali. Un Cristianesimo insomma affidato solo al ‘comportamento’ senza legarsi ad un ‘progetto’, una ‘<risposta agli eventi> che ogni giorno ci sfidano sulla base di una coerente visione etica e solide competenze’(6). L’uomo ha già nella sua natura ciò che serve ad un’adeguata organizzazione umana, e un intervento soprannaturale sarebbe dannoso per gli elementi estranei che vi introdurrebbe, divenendo fonte di contrasti o di abusi o di soprusi.

 

Ma i cristiani sanno però che una separazione netta tra i due piani, finirebbe per sfociare nell’eresia pelagiana o introdurrebbe quell’astrattismo rappresentato dallo <stato di natura pura> inventata nel XVI sec. dalla teologia molinista; su cui  contava il consigliere del comunista Togliatti, il cattolico Franco Rodano, che fece di tale status il suo cavallo di battaglia  nella politica dei cattolici di sinistra del 2° dopoguerra, e su cui si basò per criticare la Redemptor hominis di papa Wojtyla.  Rodano, Del Noce lo incontrò ancor giovane a Roma negli anni ’40, ma non lo seguì mai, anzi sempre contestò, formalizzando infine la sua netta opposizione in un libro (7), le cui 420 pagine, pare a me -non cattedratico, ma lettore non distratto- difficili da  confutare.

Non che Scoppola voglia negare del tutto l’influsso della visione cristiana sulla società, e perciò non si discosta  da Del Noce quando questi scrive che senza la caratterizzazione ‘incarnatoria’, si arriverebbe ‘a sconfessare l’essenziale struttura del cristianesimo’(8).  Infatti nell’ultima pagina del libro citato, Scoppola, ribadita la sua tesi di un ‘cristianesimo’ confinato nella ‘cultura del comportamento’, dichiara di ‘non voler rinunciare al senso vissuto del mistero dell’incarnazione cristiana’ (9).

Ma perché mai la ‘incarnatorietà’ del Cristianesimo dovrebbe essere esclusa dalla politica, nelle sue forme ed azioni specifiche,  di partito, di maggioranza parlamentare e di governo, in settori cioè determinanti per le sorti del vivere comune? Che non pare affatto incompatibile con quanto lo stesso Scoppola  dice, nella stessa pagina: ‘Credo che nella società del nostro tempo, con le sue ambiguità e contraddizioni, sia necessario che i cristiani vivano il mistero dell’incarnazione senza proclamarlo in formule culturali legate al passato’ (Ibid). Ma quando mai le difficoltà o le complessità della società dovrebbero richiedere al cristiano di ritirarsi?  Quando è legata alla rettitudine e alla prudenza, l’azione del cristiano non è affatto condannata ad ‘abbandonare la politica vera al campo amorale o pienamente immorale dei compromessi e delle concessioni, di spingere la democrazia sul piano inclinato della lotta e del puro compromesso di interessi, privandola di ogni efficace innesto di spirito cristiano’ (10). Ma se si prospetta lo spirito cristiano come  un ‘innesto’, che si aggiunge solo alla fine dell’agire umano, e non già in azione con la grazia divina fin dall’inizio, quando tale agire si forma, è spontaneo veder apparire sullo sfondo del ragionamento la disposizione pelagiana o l’originario stato di natura molinista, sopra segnalati. Quando lo spirito cristiano non è in azione  dal basso e non garantisce fin dall’inizio  tutto l’atteggiarsi umano e nell’intenzione e nella consapevolezza e nella coscienziosità, sarebbe chimerico parlare di cristianesimo incarnato. E la stessa democrazia, pur ‘nata da forti esperienze etiche e religiose’ (Scoppola), se  staccata dal  rapporto religioso, e intesa ‘come ideale, per così dire neutro, accettabile dalle più diverse posizioni di pensiero’, diventa un concetto che, per il Del Noce ‘deve essere tenuto come il più irrazionale tra i concetti  politici’, dato che tali posizioni ‘non potrebbero di fatto imporsi che con la forza’(11).

 

Chi ha esperienza di vita amministrativa e ha avuto a che fare con la defatigante azione degli iter legislativi e provvedimenti esecutivi, sa che restano lettera morta tutte le buone intenzioni e gli argomenti affrontati in assemblea consigliare, se mancano poi in aula i numeri che permettano di trasformarli in fatti concreti. E’ perciò il senso della concretezza a chiedere al cristiano di arrivare fino agli ingranaggi finali, materiali e formali della politica. Nessun settore umano può essere privato dell’influsso cristiano, perchè il regno di Dio ‘è simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staia di farina, finché sia tutta fermentata’. (Lc.13.21) E’ doverosa allora anche l’attenzione ad ogni passaggio, –senza massimalismi né integrismi- sino al conteggio dei numeri, per risultare vincenti alla votazione decisiva.

Ci vuole ‘un supplemento d’anima’ si dice.  Ma perché questo supplemento dovrebbe valere solo per  le volontà che agiscono come singole e non anche quando si uniscono, per la creazione e il funzionamento di strutture giuridico-politiche? E perché la volontà, non potrebbe ispirarsi al soprannaturale? E perchè l’ispirazione e l’influsso dovrebbero limitarsi alla sola sfera privata e non anche a quella politica, servendosi delle sue  strutture? Perché mai vedere nelle ispirazioni soprannaturali, un’invasione di campo o un intralcio al naturale, quando si sa che dopo il peccato originale, di intatto -a proposito della natura umana- è rimasto ben poco? L’esperienza storica e quotidiana ci mostra  una ragione e una volontà non sempre funzionanti. La fede con la spiegazione, ci dice anche -al di là di illusioni e chiacchiere- che esse abbisognano di sostegno continuo e dall’alto. E si può davvero pensare che tale deficienza umana scompaia proprio in quell’ambito umano così arduo e precario com’è quello dell’organizzazione pubblica?  Quante volte anche lo Scoppola avrà sentito in Chiesa, quando si cantavano in latino i vesperi della domenica, l’inizio del salmo 127: ‘Nisi Dominus aedificaverit domun in vanum laborant qui aedificant eam, nisi Dominus custodierit civitatem, in vanum vigilat custos’!

 

Scoppola ha pagine belle e convincenti quando invoca moralità, onestà, rettitudine e correttezza in ambito civile e politico e stigmatizza giustamente i cristiani, anche ecclesiastici, quando nella storia mostrarono gravi deficienze o compromissioni. Ma come far ritornare la rettitudine e l’onestà civili? Come far funzionare rettamente le strutture? E’ necessario darsi da fare, chieder aiuto, unirsi, collaborare. Ma  con chi? Con tutti e a qualsiasi condizione? Se due decidono di tirare un carro, questo non si muove o procede in modo sbilenco se i due che tirano vanno in direzioni opposte o diverse.

Del Noce su Il Sabato del 17.10.87 riporta, chiosandolo, un brano della Civiltà Cattolica, in cui i gesuiti rinfacciano a certi cattolici di avere una ‘visione eccessivamente pessimistica del mondo laico moderno, per cui arrivano a metter in dubbio la possibilità di una collaborazione tra credenti e non credenti per l’attuazione di valori umani comuni’. Secondo costoro -dicono i gesuiti- ’l’attuale secolarismo tenderebbe ad espellere dalla vita sociale ogni valore cristiano e ogni residuo di religiosità che ostacolerebbe la totale immanenza tecnocratica… In questa situazione la collaborazione dei cristiani non sarebbe volta all’attuazione di un progetto ‘umano’, fondato cioè su valori ‘umani’, ma all’attuazione di una società tecnocratica e radicale, totalmente a-religiosa, non nel senso che combatterebbe la religione, ma nel senso che dichiarerebbe superato e di nessun interesse  lo stesso problema religioso. I cristiani quindi collaborerebbero al proprio suicidio. Perciò invece di cercare di collaborare con altri, i cristiani, contando sulle proprie forze e sui propri ideali, dovrebbero agire per l’attuazione di un progetto di ‘società umana’ o di ‘cristianità’ qual è possibile realizzare nel mondo moderno’  (12).  Del Noce, che si riconosce in questa posizione, e che egli scorge pure in Comunione e Liberazione, fa queste precisazioni: ‘Di collaborazione su <valori comuni> tra cattolici e laici’ si può parlare solo ‘nell’orizzonte di quella che è stata giustamente definita <la ragione strumentale>’ dove gli accordi ‘non suppongono un giudizio morale, oltre la strumentalità della coesistenza’…’Ma la politica si riduce a questo? –si chiede- O non ha di mira qualcosa che va oltre, la formazione di una coerente personalità umana? Non soltanto l’amministrazione del presente, di ciò che è, ma la preparazione del futuro, di quello che dovrebbe essere?’. E conclude: ’Di questo <futuro dell’uomo> sembrano assai poco preoccupati i cattolici che agiscono sul piano della politica, e meno che mai coloro che sono persuasi della presenza o della prevalenza, oggi, di <valori  morali comuni>’. Dunque: ’In questa situazione i cattolici si trovano costretti ad una scelta: o la pura abdicazione e l’accettazione della marginalizzazione o la creazione di un’ alternativa, che non è la formazione di un partito politico, ma di una cultura che potrà anche vivificare una forza politica’ (13). Celiando un po’, si potrebbe trovare una sponda a favore di questo ‘suicidio’ nell’invito di Gesù  ‘a perdere la propria vita’ dato che ‘chi la vuole salvare la perderà’. Ma c’è quella aggiunta: ‘per causa mia’.  Che vieta al cristiano quell’annullarsi che è implicito nella rinuncia alla rivelazione ricevuta. Ma c’è di più.  Per il cristiano la Rivelazione non è  qualcosa di privato. Le immagini evangeliche della lanterna -da porre sul lucerniere- e del sale -che deve condire la pasta- ci dicono che  la Parola di Dio è un’energia in espansione e  deve agire in modo tale  nella vita dell’individuo che l’immobilità a cui dovesse essere costretta, finirebbe per  ripercuotersi negativamente  sull’ esistenza stessa della persona.

Del Noce commentò il libro di Scoppola, pubblicando su ‘Il Tempo’ di Roma del 23.7.85 l’articolo: ‘Religione civile e secolarizzazione’. Ad esso Scoppola risponde nella seconda edizione del suo libro, definendo l’intervento di Del Noce ‘una ampia ed approfondita analisi critica del mio lavoro’(14). Scoppola replica con convinzione e passione, ma  non mi pare collocarsi sulla ‘lunghezza d’onda’ di Del Noce. Da qui forse le divergenze che si notano fra i due, oltre che per la diversa angolazione da cui due studiosi affrontano la secolarizzazione. Del Noce si era già espresso, in proposito, in svariati interventi di spessore notevole. Come al Convegno di studio DC di Lucca, nel 1967  con la relazione ‘La situazione spirituale contemporanea e il compito politico dei cattolici’, Atti, Arti Graf. Italiane 1967 (15). E poi, due anni più tardi,  in  un articolo apparso su Ethica: ‘Civiltà tecnologica e Cristianesimo’ e pubblicato nel 1970 in una raccolta di 11 saggi (16).  Ci si poteva a quindi aspettare che Scoppola ne parlasse in modo più pertinente. O perlomeno nel successivo intervento ‘A proposito di secolarizzazione’ che egli ebbe occasione di fare  al Convegno internazionale tenuto a Roma su ‘ADN nel ’95 (17). Scoppola cita una frase di Del Noce, che è decisiva, ma staccata dal vasto discorso in cui è da collocarsi, non può essere percepita nel suo vero spessore.

Dice che la visione di Del Noce è un ‘interpretazione puramente filosofica dei processi di secolarizzazione’ e che ciò che il filosofo afferma dipende dalla sua ‘lettura puramente filosofica della storia contemporanea’. In ciò Scoppola dimostra di non aver colto il carattere proprio della filosofia cui Del Noce era approdato, fin dal lontano 1946, criticando la filosofia di Marx. Lo aveva detto nella relazione ‘La non-filosofia di Marx’ tenuta al Congresso internazionale di Filosofia a Roma (18). Con Marx si è di fronte ad una filosofia che si supera come discorso completamente chiuso. E’ ancora filosofia, ma tale da non potersi scrivere in un libro, e che può trovare  espressione solo nella realizzazione di una società. Non quindi un discorso isolato dalla pratica, ma che si concretizza nell’azione, trovando la sua prova invece che in concetti e principi teorici (tipo il principio di non-contraddizione), nella realizzazione effettiva dei fatti. Legato alla filosofia di Hegel –basata sul principio di contraddizione– vero scombussolamento rispetto alla concezione della filosofia normale –basata sul principio opposto di non-contraddizione– il marxismo introduceva un assurdo logico nel tessuto sociale, dando origine a quella barbarie che per la sua logica non razionale il comunismo ha potuto essere definito –ricorda Del Noce-  <l’lslam del XX secolo>.

Nella visione delnociana, la priorità ideale nel diffondersi del fenomeno della secolarizzazione, è spiegata con la filosofia marxista, che si è concretizzata nel sociale sotto  forma di ateismo. E il comunismo, che si considerava l’affossatore della società borghese, si diffuse incontrastato, finché non trovò in Occidente, a livello materialistico, una critica adeguata nel pensiero dall’empirismo sociologistico, una filosofia cioè che faceva suo quel potere distruttivo che fino allora era solo del marxismo. In tale empirismo la riduzione marxista della mente umana a sola espressione individuale e storica, viene estesa allo stesso messianismo comunista. Ed è proprio questa eliminazione, di qualunque valore soprastorico e sopraindividuale, dal ogni pensiero intellettuale, che si trova alla base del secolarismo. Con l’assolutizzare la ragione, previamente ridotta a strumento esperimentale, senza ulteriorità nel trascendente o nel futuro (scientismo e tecnicismo), il secolarismo non può che dar valore solo al presente e ridurre tutto all’utile immediato, a merce di scambio per il mercato, in cui pensieri, azioni progetti, non hanno significato e portata che per il secolo odierno.

Ma senza arrivare a Marx, è di dominio comune che pensiero ed azione nella storia vadano sempre assieme. Anche se non si tratta  sempre di pensiero, già formulato o espressamente divulgato, c’è sempre una idealità all’inizio di ogni azione. Idealità è quello che entra in una mentalità, singola o collettiva, presente comunque  quando si entra in azione, quando si programma, quando si progetta. Che il singolo individuo non partecipi alla formazione di quel pensiero o non lo propaghi, e che perciò se lo senta ‘venire alle spalle’, come qualcosa di già pronto, e quindi gli appaia una cosa normale e spontanea, questo non significa che esso non abbia una fonte intellettuale, specie oggi con i tanti e veloci mezzi di comunicazione. Quindi l’affermazione di Scoppola secondo cui tutto  è ‘il frutto spontaneo dello sviluppo economico della trasformazione profonda della società a seguito dei processi di industrializzazione e della simultanea diffusione dei mezzi di comunicazione di massa’(19), non può che trovare consenso, se non fosse per quell’aggettivo ‘spontaneo’. Pur non negando che le strutture economiche, industriali e commerciali, in se stesse abbiano una loro configurazione che incide sulla modalità dello sviluppo sociale;  degli elementi tecnici, cioé, che si impongono e che non dipendono direttamente da una volontà immediata e singola, sarebbe troppo non vedere nessuna razionalità all’origine e a sostegno delle colossali strutture, che si estendono e si complicano ogni giorno di più nel tessuto sociale. Mi pare decisamente ingenuo ritenere  che tutto questo avvenga ‘spontaneamente’ e che dietro e sotto le multinazionali non ci siano disegni e progetti ben precisi.  Ed è la macromentalità, che sta sotto la produzione e il commercio delle multinazionali sempre più globalizzate, che Del Noce evoca quando parla di ‘primarietà ideale’, come base della storia e dell’organizzazione sociale di oggi. Non è quindi una ‘semplificazione’, la sua, ma spiegazione adeguata ‘dell’intreccio fra cause strutturali e cause culturali’  che si attuano in essa.

Il motivo della ‘unicità’ di causa e della sua ‘filosoficità’ il Del Noce lo trova perciò nel diffondersi della non-filosofia marxista rovesciata, che costituisce l’empirismo e il sociologismo presenti nella società opulenta. Una filosofia che, chiusa al soprannaturale,  si identifica con l’ateismo, e che perché ateismo si fa solo azione  con cui non ha senso discutere, perchè essa basa la sua veridicità non su argomenti teorici ma su risultati pratici, non sulla verità ma sulla violenza.

E’ a questo livello che vanno collocati i rapporti di oggi fra cristianesimo e secolarismo, non nel passaggio dalla civiltà rurale a quella industriale, né in uno scontro tra conservatorismo e progressismo oppure tra fasciamo e antifascismo o clericalismo e anticlericalismo (20). Fermandosi ad un livello superficiale, si può ben dire che: ‘i fenomeni della secolarizzazione hanno tutti i caratteri di un fenomeno spontaneo, legato a modi di essere oggettivi’ e affermare così che Del Noce ‘sembra ignorare un fatto che si impone alla più superficiale osservazione’ (21). L’analisi di Scoppola non è però da scartare, è anzi preziosa, ma solo se legata al livello più profondo indicato da Del Noce. Ed è solo lì che si percepisce poi la connessione che il pensiero cattolico deve avere con la sua filosofia della storia, senza la quale, essendo illusoria una posizione neutrale,  non si può che scivolare o nella visione storica marxista o in quella laicista.

  1. DEL NOCE E COMUNIONE e LIBERAZIONE #

Può sembrare che quello  che siamo venuti dicendo, per quanto interessante, abbia poco da fare con il titolo proposto. In realtà v’è la spiegazione di ciò che,  pur non programmato né previsto, ha determinato l’incontro tra il Movimento di Giussani  e il pensiero di Del Noce, senza che  quest’ultimo abbia mai avuto coscienza di aver esercitato su Cl una ‘influenza diretta’.

Quando egli  analizzò più da vicino Cl e, ormai in rapporti più stretti ed organici con Il Movimento,  intervenendo al Meeting di  Rimini del 1989, dichiarò che Cl ‘stava svolgendo quel ‘compito storico’ che ‘le altre formazioni di ispirazione cattolica non avevano completamente assolto’. Di contestare, cioè,  ‘quella <repubblica delle lettere> che ha ancora il reale dominio delle menti’ in Italia. E di affrontare inoltre quello che ‘negli ultimi decenni’ era ‘un nuovo avversario del cristianesimo’ radicalizzante ulteriormente ‘l’opera di secolarizzazione, di cristianizzazione, avvenuto in questo secondo dopoguerra’, vale a dire la ‘forma di religione propria della società opulenta e consumistica’. Per questo ‘occorreva una formazione nuova, dotata di  ‘una sensibilità particolare capace di comunicare ai giovani’ (22).

Nella ‘lotta’ che da tempo svolgeva pressoché solitario, nel campo della cultura filosofica e politica, contestato e snobbato anche nel mondo cattolico, deve essergli stato di gioia grande quell’apparire di giovani battaglieri, che opponendosi al predominio della cultura laicista, proponevano un’alternativa spirituale, ispirata ad un Cristianesimo vivo e propositivo, nettamente lontano dalle forme in cui veniva vissuto dalla maggioranza dell’associazionismo cattolico. Per lui, già ottantenne e dopo anni di battaglie serrate, era l’aprirsi di una nuova giovinezza. In quei giovani vedeva lo stesso suo intransigente rifiuto a quello ‘inginocchiarsi davanti al mondo’ di tanto cristianesimo post-conciliare, e che anche Maritain aveva duramente denunciato, nel 1966, nel suo ultimo libro ‘Paysan de la Garonne’.

L’incontro avveniva su una concezione di fondo, che investiva tutto l’essere, senza lasciare spazi scoperti di vita singola e sociale. Un impegno che toccava la cultura e si riversava nella politica. E prima ancora proclamazione e pratica di vita, come risposta a Dio, in sintonia con la totalità del Suo donarsi, in Cristo. Era fare di Cristo, non un’aggiunta o un complemento allo svariato aprirsi e svolgersi della vita, ma la sorgente, il modello, il motivo, la garanzia, lo scopo di ogni pensiero, azione e prodotto umano.

Il Cristianesimo, ricordava don Giussani non è una dottrina, o una legge, o un rito- dove è tanta la parte svolta dall’uomo, ma un avvenimento, un evento, che si para davanti, imprevisto e imprevedibile, per cui l’uomo si ritrova inizialmente passivo.  E’ un fatto che richiede accettazione e accoglienza, per quello che è, cosi com’è. Ne devi prendere atto, perchè ti interpella. Di fronte ad esso non puoi estraniarti, devi prendere posizione.

Del Noce nella sua analisi della filosofia, arriva a qualcosa di analogo. Egli critica la conclusione della linea laica della filosofia moderna, che per lui avviene coerentemente nell’attualismo di Gentile, e le contrappone la filosofia di S. Tommaso, nell’interpretazione di Etienne Gilson, dove vede la conclusione della linea religiosa pur presente nella filosofia moderna, quella ‘da Cartesio a Rosmini’, In tale tomismo è la realtà oggettiva, il <dato> -come presupposto primo del filosofare- che viene ripristinato, vale a dire si riconosce quella passività -negata risolutamente dall’idealismo- in cui inizialmente si trova l’uomo quando conosce (23).  Abbiamo lo stesso posizionarsi di fronte al reale: in Del Noce, di fronte al <dato>, perchè il pensiero sia valido, in Giussani,  di fronte a <l’avvenimento> perchè la  vita cristiana sia autentica. Non potevano allora che incontrarsi e sostenersi.

Per Del Noce gli stilemi e le categorie filosofiche della filosofia moderna hanno la loro origine e il loro significato nella problematica teologica del ‘600. Sfata così la tanto sbandierata autonomia della filosofia moderna rispetto alla teologia scolastica (24). Una filosofia –dice Del Noce- non può sorgere che prendendo posizione di fronte alla religione.  In particolare con una presa di posizione nei riguardi della condizione originaria dell’uomo, accettando o respingendo lo <status naturae lapsae> rivelatoci dalla Scrittura. Sia l’una che l’altra posizione vendono prese con un atto di fede. Si sceglie davanti ad un fatto –il peccato di origine- di cui non si possono aver prove. E’ la fede quindi che decide, non la ragione. Anche per il laicista. Una scelta la fa anche lui, una scelta che si distingue dall’altra, solo perché è contro Dio e non a Suo favore. La differenza sta solo in questo: che chi crede ammette la scelta, l’ateo invece cerca di nasconderla.

Riguardo alla realtà politica Giussani e Del Noce sono uniti nel rivendicarne la dimensione religiosa, e Del Noce lo rivela espressamente (25). Giussani, basa il suo convincimento partendo dai testi sacri, specie dalla lettera agli Efesini, dove è espressa la posizione prioritaria e originaria della Chiesa nei confronti di tutta la realtà; la Chiesa è vista da Dio prima della società e addirittura prima della creazione. Le quali sono modellate tenendo presente proprio la Chiesa, il Corpo totale di Cristo, e non altro. La Comunità cristiana non è perciò una realtà che si aggiunge ad un’altra già fatta o presupposta; è al contrario il modello, lo stampo, a cui si struttura la creazione e su cui si devono conformare società e Stato, se vogliono essere qualcosa di reale e di genuino. Su questo aspetto fondamentale e fondante della realtà totale si insiste poco o si glissa come su cosa risaputa o implicita, ma senza trarre tutte le conseguenze teorico-pratiche per la vita cristiana individuale e comunitaria. Ne sviscerò invece tutta la portata il grande esegeta evangelico, che si fece cattolico seguendo il metodo protestante della ‘sola Scriptura’, Heinrich Schlier. Lo fece nel 1949 con il saggio: ‘La Chiesa secondo l’Epistola agli Efesini’ (26). E al Paolo degli Efesini Giussani lega poi, strettamente il Giovanni del prologo: ‘E il Verbo si è fatto carne’, a dire che nella realizzazione storica della Comunità cristiana, la presenza di Cristo non può essere aggiuntiva, sibbene costitutiva, originaria, permanente.  Del Noce da posizioni filosofiche e storiche, sottolinea che solo se basata su una visione religiosa, la dimensione laica evita di sconfinare nel laicismo, -con la conseguenza di un’impossibilità (e non solo incapacità) della politica a frenare la strafottenza dell’economia, il saccheggio delle risorse, lo scempio dell’ambiente, la deregulation della biotecnologia, il dilagare sfacciato del libertinismo. Al cui proposito appare strano che Scoppola nel suo libro non prenda in considerazione la macroscopica diffusione della pornografia, che invade massicciamente  costumi, arte e spettacoli -a meno che tale lacuna non sia inclusa in quella che egli confessa a proposito  ‘del mondo femminile’(27). Per Del Noce il libertinismo intellettuale e morale oggi dilaganti costituiscono un elemento basilare del secolarismo, in quanto sgretolando le resistenze interiori dell’individuo, ottundendone l’intelletto e debosciandone la volontà, riducono le persone la facile preda dell’imperante consumismo (28).

L’ incomprensione verso Del Noce può essere anche capita per la complessità che la sua ricerca presenta e che non è possibile seguire da tutti con facilità e competenza (per questo può facilmente essere snobbata ed isolata -cosa diversa dall’essere contraddetta-)(29). Ma la contrapposizione e la lotta, anche a livello ecclesiastico, nei riguardi di Cl, sorprende non poco, in considerazione anche dell’approvazione e del sostegno pubblico e ufficiale da parte dei  Papi. Cominciando da  Paolo VI, ‘che con tutta buona fede aveva visto favorevolmente una certa evoluzione della Chiesa… ad un certo punto, si è dovuto accorgere del disastro cui la dinamica delle cose –pur approvate- portava… Il culmine della sua disillusione si ha  con il Referendum sul divorzio, in Italia nel ’74, quando proprio i dirigenti dell’Azione Cattolica e la Fuci, che egli aveva amato e protetto, gli volsero le spalle per la domenica delle Palme di quell’anno egli chiamò i giovani di tutti i gruppi cattolici di Roma… Chiamò tutti. Si trovò da solo coi 17mila di Cl’ (30). In quella occasione, al termine della Messa il papa mandò a chiamare don Giussani, il quale racconta:  ‘Comparvi davanti a lui proprio sulla porta della chiesa. Mi sono inginocchiato, ero così confuso… Ricordo con precisione solo queste parole: Coraggio, questa è la strada giusta: vada avanti così’ (31). Paolo VI rimosse invece ‘dalla cura dell’Azione cattolica l’intimo amico mons. Franco Costa, che aveva determinato il corso dell’associazionismo cattolico negli ultimi anni’; quel Costa che in precedenza gli aveva inutilmente ‘chiesto di sopprimere Gioventù Studentesca (come si chiamava allora l’esperienza di Cl’ (32). E dopo il papa Paolo VI, Giovanni Paolo II. Il quale concede il riconoscimento canonico allo stile ciellino, e si fa rappresentare a Milano alle esequie di Giussani dal card. Ratzinger, che nell’elogio funebre parla a lungo e a braccio, tanto era la consonanza con il pensiero del fondatore di Cl, come l’aveva già dimostrato presentando alcune pubblicazioni che ne raccoglievano gli scritti.

L’opposizione attorno a CL era diffusa e generale, e costituiva il segno di uno sbandamento profondo all’interno della Chiesa. Uno sbandamento che i protagonisti non volevano riconoscere, e di cui forse non avevano piena coscienza; come sostiene Del Noce, che ne vede l’origine non già in deviazioni esegetiche o dogmatiche, ma essenzialmente in una subordinazione a tesi marxiste e laiciste sul corso della storia contemporanea -l’elevazione a male assoluto del fascismo e il metro interpretativo collocato nella dialettica progressimo/repressione-(33). Di ciò parla anche il card. Ratzinger, quando ricordando il ‘68, afferma: ’Il mondo migliore futuro migliore divenne improvvisamente l’unico oggetto di fede. O meglio: non esisteva più alcun ‘oggetto di fede’, bensì solo la proiezione di una speranza, la quale  a sua volta significava azione. Anche i cristiani cessarono di parlare di redenzione mediante la croce, della resurrezione di Gesù Cristo e della nostra speranza della vita eterna. Anch’essi parlavano ormai quasi solo della nuova società, della civiltà migliore che doveva nascere. L’utopia era diventato l’unico dogma che ispirava pensiero e azione’(34).

E se si arriva a contraddire così apertamente e pubblicamente i rappresentanti centrali della Chiesa, non c’è che da meravigliarsi allora che chi, come Cl, si propone di sottostare fedelmente ai pronunciamenti dell’autorità della Chiesa, potesse godere giorni tranquilli. E quei giorni non erano tranquilli nemmeno per la Chiesa stessa, se  in una conversazione con Guitton, nel ’77, Paolo VI giunse a dire: ‘C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede…Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati  tacciano, che non si trovino strani questi libri… Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico…’(35). In altra occasione parlò addirittura del ‘fumo di Satana entrato nel tempio di Dio’, di cui, fra il risentimento di tanti teologi, ricordava la realtà personale e non solo come metafora del generale ‘male’ sociale.

I contrasti all’interno della Chiesa Italiana, si determinarono anche  a proposito del Movimento di Giussani, (36) e per una adeguata valutazione, occorre rifarsi alla ‘forma mentis’ originatasi con lo Humanisme intégral di Jacques Maritain, specie riguardo ai due piani spirituali (naturale e soprannaturale), da lui proposti. Ad essi si richiama lo Scoppola –‘la maritainiana distinzione dei piani è la necessaria premessa del superamento di una posizione di parte della Chiesa’(37)- e su di essi tanto insisteva Giuseppe Lazzati.  Differenza di piani, il cui rapporto, per Del Noce, non era stato  per niente interpretato nel senso inteso dal pensatore francese (38). A punto che questi, al vedere la piega che tanto post-concilio prendeva, servendosi anche del suo nome, reagì drasticamente con il libro ‘Paysan de la Garonne’. L’azione di Giussani era proprio contro tale distinzione-separazione di piani nella vita spirituale. E su questa il card. Giacomo Biffi, che visse la temperie di quegli anni, ebbe a dire –riferendosi in particolare  alla posizione di rettore dell’Università Cattolica di Milano- che essa era decisamente  ‘datata’ e ‘superata’(39).

Si può comprendere il disappunto che si prova quando qualcuno viene a scompaginare un’esistenza o un lavoro, che magari si fa già fatica a portare avanti. Il parroco può essere capito. Specie se i disturbatori sono giovani, e perciò spesso privi della delicatezza e della prudenza necessarie.

Ma in cristiani che non hanno tali incombenze, o in associazioni che si dedicano alla perfezione e all’apostolato, il prendersela così tanto con giovani che in ogni settore della vita si sforzano di vivere a fondo il Cristianesimo, e di farlo con entusiasmo e senza complessi, sopportando scontri ed attacchi anche fisici da parte degli avversari della fede, lascia davvero perplessi. Che al fondo ci sia un’inconfessata ‘pigrizia’, una stanca difesa del ‘quieto vivere’, un conformismo che rifugge dagli sforzi, un procedere freddo e sfiduciato nei riguardi dell’ideale infinito che il cristiano ha davanti? Le stesse domande, ma riferite ai vescovi italiani, se le fa anche il card.Giacomo Biffi, che anche in questa occasione non smentisce la sua arguzia sorridente e pungente(40).

Abbiamo visto come è stato giudicato il servo neghittoso che sotterra il soldo invece di darsi da fare, e come Cristo rimbrotta quelli che non si espongono apertamente per lui: ‘Chi si vergognerà di me e delle mie parole (davanti agli uomini) di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo (sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio), quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli’ (Lc.9.26/12.9). E l’impegno ‘totale’ proposto dai ciellini non si ispira forse a chi nel Vangelo, una volta intravista la pietra preziosa,  non guarda in faccia nessuno e si dà anima e cuore a accappararsela? E se non si è così, non si rischia forse di essere raggiunti dal terribile rigetto che lo Spirito ha formulato nei riguardi della comunità tiepida di Laodicea (Ap.3)?

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*(1) Socci-Fontolan: ’1974-1987:13 anni della nostra storia’ -N°13 de‘Il Sabato’ 26. 3.88. (suppl.)

*(2) A.Del Noce: Scritti politici, a cura di Dell’Era, Rubbettino, 2001, p.536

*(3) G.Lami: ‘Introduzione ad Augusto Del Noce’, Pellicani-Roma, 2000, pp.19-37

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*(4) A.Del Noce: ’La potenza ideologica del marxismo e la possibilità dl successo del comunismo in Italia per via democratica’ in id.:‘I cattolici e il progressismo’, Leonardo-Milano, 1994, p.45

*(5) P.Scoppola ‘La<nuova cristianità>perduta’, 2°ed., Studium-Roma, 1986, p.228

*(6) Ibid., p.200

*(7) A.Del Noce: ‘Il cattolico comunista’, Rusconi-Milano, 1981

*(8) A.Del Noce ‘Cristianità o precipizio’–Il Sabato 26.7.86, ora Id.:‘Cristianità e laicità’, Giuffrè-Milano, 1998, p.95

*(9) P.Scoppola, cit., p.247

*(10) Ibid., p. 233

*(11) A.Del Noce‘Teismo e ateismo politici’ (1962), in id.:‘Il problema dell’ateismo’, Il Mulino-Bologna, 1964, 4° ed, 2000, p.522

*(12) A.Del Noce ‘I padroni del futuro elargiscono valori’, in id.:‘Cristianità e Laicità’,cit., p.143

*(13) Ibid., pp.144-146

*(14) P.Scoppola, cit,p.231

*(15) A.Del Noce: ‘I cattolici e il progressismo’  cit,, p.119-146

*(16) A.Del Noce: ‘L’epoca della secolarizzazione’, Giuffrè–Milano, ’70, p.77-97

*(17)AA.VV: ‘Essenze filosofiche e attualità storica’ -Atti, ed.Spes-Roma, 2000, vol.I, pp.81.87-.

*(18) A.Del Noce: ‘Il problema dell’ateismo’,cit., pp.213-266

*(19) P.Scoppola, cit., p.231

*(20)A.Del Noce ’La situazione spirituale contemporanea e il compito politico dei cattolici’, in id.:‘I cattolici e il progressismo’,cit., p.119-123

*(21) P.Scoppola, cit.,  p.231-3; cfr.anche G.F.Lami ‘Breve storia dell’incontro con Comunione e liberazione’ in Ibid. ‘Introduzione a A.Del Noce’, cit., p.189-219, dove il lettore trova davanti ad un Del Noce vivo e battagliero, la cui profondità di pensiero finisce per accostarsi al Movimento di Giussani, in un intreccio di problemi, influenze e personaggi, i cui risvolti però non è sempre possibile seguire, in tutta la portata e lo spessore, a meno di non averli vissuti, come appunto il Lami,  personalmente.

*(22) A.Del Noce: ‘Occorreva una nuova sensibilità. Ed ecco il Movimento di CL’-Litterae Comunionis,1990/2,p.6

*(23) A.Del Noce: ‘La riscoperta del tomismo in Etienne Gilson e il suo significato presente’1975, in AA.VV. Studi di filosofia in onore di Gustavo Bontadini, Vita e Pensiero, 1975, p.454-474. Ora anche in Id.: ‘Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea’, ( a cura di Santorsola),Studium-Roma,2006, p.31-58. Cfr. Luigi Giussani: ‘In cammino’, allegato a Il Sabato,n.14,1992, ora in Id.: ‘Un avvenimento di vita, cioè una storia’, EDIT, Roma1993, p.475-502

*(24) A.Del Noce: ‘Riforma cattolica e filosofia moderna’, il Mulino-Bologna,1965

*(25)A.Del Noce: ‘Ascoltiamo quell’uomo’ Il Sabato,14.2.87 ora in id.:‘Cristianità e Laicità’ cit., p.117-121 in cui l filosofo si dichiara ‘completamente d’accordo’ con Giussani, intervenuto ad Assago all’Assemblea della DC lombarda il 6.2.87: ‘Il senso religioso, le opere, il potere’, allegato a Il Sabato, n.22,1987 ora in Id.: ‘Un avvenimento di vita, cioè una storia’, cit., p.113-118

*(26) H.Schlier: ‘Il tempo della Chiesa’, Il Mulino-Bologna,1965, p.255-297

*(27) P.Scoppola,cit., p.228

*(28) A.Del Noce: ‘L’erotismo alla conquista della società’ in  AA.VV.’Via libera alla pornografia?’, Vallecchi-Firenze,1970, p.9-48 e Id.: ‘Interpretazione filosofica del surrealismo’ -Conferenza alla Fondazione Cini 8.9.64, pubblicata in ‘Rivista di Estetica’ 1965,p.22-56, ora anche in Id.: ‘I filosofi dell’esistenza e della libertà’, Giuffrè-Milano, 1992, p.301-331

*(29) Un tentativo per facilitare l’approccio al pensiero di A.Del Noce è stato fatto nel 2006 dal  I° dei Quaderni del CENTRO CULTURALE A.Del Noce di Pordenone, con un contributo di Matteo Candido: ’Sfogliando Del Noce, e altri scritti’, pp.9-55

*(30) L.Giussani: ‘I volti segreti di Pietro’ intervista a R.Farina, Il Sabato, n°32/33 1988, ora in id.: ‘Un avvenimento di vita,cioè una storia’ cit., p.70.75

*(31) Ibid., p.71

*(32) Ibid., p.73

*(33) A.Del Noce: ‘Fascismo e antifascismo’, Leonardo-Milano,1995

*(34) L.Giussani: ‘Un avvenimento di vita, cioè una storia’ cit., p.9

*(35) L.Giussani: ‘Un avvenimento di vita, cioè una storia’ cit,, p.72-73

*(36) M.Camisasca: ’Comunione e Liberazione’ vol. II, Paoline-MI,2003, cap. XVI e XVII: ‘Cl e la Conferenza Episcopale Italiana’ e ‘I rapporti con la Santa Sede’ pp.287-316,

*(37) P.Scoppola, cit., p.242

*(38) A.Del Noce: ‘Unità del pensiero di Jacques Maritain’, in Europa del 30.4.73; Id.: ‘Maritain messo in congedo?’ in Il Tempo 8.1.87; Id.: ‘Il Maritain di G.B. Montini’ (già apparso in L’Osservatore Romano 20.8.78, come ‘La scelta di un maestro’): ora tutti in Id.: ‘Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea, cit., rispettivamente  pp. 91-102 e 103-107 e 109-113.

*(39) M.Camisasca: ‘Comunione e Liberazione’ vol.I, Paoline-MI,2001, p.101-102 (nota 53): ‘Noi siamo cresciuti in una scuola teologica che era tutta fondata sull’idea dell’unità del disegno di Dio. In questo convenivano sia mons. Figini, sia Carlo Colombo sia Giovanni Colombo… Per noi questa distinzione dei due piani, piano naturale e piano soprannaturale era molto datata ed era teologia ormai superata… Invece è capitato che molti dopo il concilio sono andati avanti ad essere discepoli di Maritain, dimenticando che  ormai non c’era più quel mondo ecclesiastico che c’era prima e c’era esattamente il contrario da dire. Questo secondo me, è  il limite di Lazzati’.

*(40) M.Camisasca: ‘Comunione e Liberazione’ vol.III. Paoline-MI,2006, p.184