Una speranza senza confini
Elio Croce. Fratello missionario comboniano
Nell’aula Magna dell’Istituto Tecnico Settore Tecnologico (ITST) di Pordenone “J.F. Kennedy”, è stato presentato, dall’autore Filippo Ciantia, il libro Elio Croce. Fratello missionario comboniano, in collaborazione con il Centro culturale Augusto del Noce. Nativo di Moena, in provincia di Trento, Elio Croce, conquistato dal carisma di Daniele Comboni, decise, giovanissimo, di dedicare la sua vita alla evangelizzazione dell’Africa, secondo il motto del fondatore, ora santo, “Salvare l’Africa con l’Africa”. Appassionato di aspetti tecnici e creativi, preferì la vocazione di fratello coadiutore consacrato, ma laico. Consegui il Diploma nella specializzazione “Industrie metalmeccaniche” nell’anno scolastico 1969-1970 nell’Istituto Tecnico Industriale J.F Kennedy di Pordenone, con ottimi voti. Hanno partecipato alla presentazione della figura dell’illustre ex-allievo dell’Istituto gli studenti delle classi terze, quarte e quinte e i loro professori. Ha moderato il professore di Religione Ennio Rosalen, dopo il benvenuto del Dirigente Prof. Piervincenzo Di Terlizzi,
Elio Croce, nato a Moena (Tn) nel 1946, è deceduto l’11 novembre 2020 a Kampala, a causa del Covid-19. Aveva iniziato la sua missione nel 1971 a Kitgum, in Uganda, lavorando nell’ospedale St. Joseph’s. Sapeva fare di tutto. Costruttore di sale operatorie e reparti, aveva anche promosso la coltivazione del girasole, creando nella missione un vero e proprio oleificio. Poi nel 1985 è stato trasferito a Gulu nel grande ospedale Lacor, sviluppato dai coniugi Lucille e Piero. Qui Elio ha sfidato la guerriglia per vent’anni e ha affrontato un’epidemia di Ebola nel 2000. Testimone di stragi e della cattiveria umana, instancabile nella organizzazione dell’ospedale per far fronte ad ogni emergenza (migliaia di sfollati tutte le notti cercavano sicurezza all’interno delle mura dell’ospedale), non temeva alcun pericolo perché sapeva che la missione del cristiano è trasformare il male in bene. Affrontava di giorno e di notte le piste nella savana per soccorrere malati e feriti. Organizzava la pericolosa opera di misericordia di seppellire i morti di Ebola. Accoglieva e curava i più deboli, soprattutto i bambini orfani e disabili nell’orfanotrofio St Jude, nato grazie alla provvidenza, al suo grande cuore e alle forti braccia, e a tanti amici che non gli mancarono mai
Dopo aver lavorato per oltre quarant’anni negli ospedali, al servizio dei malati e dei poveri, la sua ultima opera è stata una chiesa, grande, bella, piena di dipinti e statue dei santi e dei martiri di queste terre e della missione. Una chiesa per il popolo del quartiere nato attorno all’ospedale, per tutti.
La gente e anche le autorità, quando avevano bisogno, chiamavano lui, perché il buon Dio aveva messo lì un suo servitore, geniale e burbero, sorridente e deciso, coraggioso e amabile, generoso e forte. Dopo la messa del funerale, davanti alla sua tomba, un uomo del “popolo fedele” si è asciugato le lacrime ed ha esclamato: “Se uno dovesse chiedermi come è possibile seguire Cristo oggi, per me la risposta sarebbe facile: seguendo un uomo come Elio.”