Padre Berton “La mia Africa: un’esperienza di educazione tra i giovani”

Sabato 9 ottobre 2010 ore 16.00

Auditorium Oratorio “Giovanni Paolo II” di Porcia

in collaborazione con Parrocchia di San Giorgio m. di Porcia e AVSI.

Resoconto incontro 2010

“Motus in fine velocior”, ovvero il moto è più veloce alla fine. Padre Giuseppe Berton, da quarant’anni missionario in Sierra Leone, ha citato questo detto latino ai suoi superiori che lo invitavano a limitare il suo gravoso impegno educativo. Il saveriano di Marostica infatti, a settantotto anni, continua a dirigere in Africa una scuola di millecinquecento allievi da lui stesso fondata, per lo più profughi o ex bambini soldato, che ora stanno diventando universitari o si stanno inserendo nel mondo del lavoro. Ed è proprio sul tema dell’educazione che Berton si è intrattenuto sabato pomeriggio con insegnanti e genitori nell’Oratorio “Giovanni Paolo II” di Porcia, ospite della Parrocchia di San Giorgio e del Centro culturale “Augusto Del Noce”. Nell’occasione il “Vespa Club Porcia”, in collaborazione con il Villaggio del Fanciullo e alcuni sponsor, gli ha offerto un’Ape con cui tentare una piccola impresa commerciale per i suoi ragazzi.

Ma quali sono i principi alla base dell’opera educativa di padre Berton? Come è possibile che un vecchio prete vicentino riesca a tenere insieme tanti ragazzi sradicati dai loro villaggi, reduci in molti casi da esperienze atroci e per di più in gran parte musulmani? Risponde padre Berton: “Si può educare se si ricrea il rispetto verso l’adulto; solo così scatta l’imitazione. Purtroppo I giovani in Sierra Leone hanno perso ciò, perché in una guerra di dieci anni hanno visto di tutto”. “Ma attenzione, – sottolinea il missionario – non bisogna ridurre l’educazione al moralismo. Gesù ha portato nel mondo il rispetto per le persone e quindi i diritti umani”. Quando un giorno un musulmano gli ha obiettato che c’è anche Maometto, lui ha risposto che nel Corano ci sono i diritti dei credenti, degli uomini, delle donne, ma che i diritti umani sono un’altra cosa, dal momento che secondo Gesù un bambino è più grande di Giovanni Battista. Per questo padre Berton si sforza di trovare con i suoi ragazzi quegli elementi educativi che fanno comprendere ciò, come il silenzio e il controllo di sé, il modo di parlare, il divieto di mettersi le mani addosso, oppure la bellezza del luogo educativo.

“Non è vero – insiste Berton – che il rispetto delle persone c’è in tutte le religioni: chi condannò Gesù disse che era meglio che morisse un uomo piuttosto che soccombesse tutto il popolo. Il popolo era dunque superiore all’individuo. Allo stesso modo la Umma islamica vale più della persona: per questo si può concepire che qualcuno diventi un kamikaze”. Con i principi cristiani, fatti valere su di un piano educativo, padre Berton cerca di rispondere alla gravissima crisi che ha colpito l’Africa, dove la morale tradizionale si basava sui tabù, che però le guerre e altri fattori hanno fatto cadere, anche perché la gente ha visto che la violazione degli stessi non ha prodotto le conseguenze minacciate. Ma il Movimento Casa Famiglia da lui fondato ha un logo estremamente significativo: un cerchio spezzato: “Sì, perché – conclude Berton – anche quando si accoglie qualcuno non bisogna creare sentimenti possessivi e nell’educazione occorre sempre lasciare a una persona la libertà di uscire o entrare”.

Tutto questo padre Berton lo ha imparato dall’esperienza di ogni giorno, affrontando i problemi o le opportunità che la Provvidenza gli ha fatto cadere addosso. Ma ha avuto anche grandi maestri, come sua nonna che un giorno lo consolò perché gli fu vietato di vedere Mussolini in visita a Marostica. A lui che piangeva la donna disse, offrendogli una bella scodella di zuppa: “Questa vale più di Mussolini. Non c’è nessuna persona grande al mondo: solo Dio è grande”.