Il culto mariano ad Aquileia 2

Intervento a Radio Voce nel deserto di Pordenone del 3.03.2020

Premessa

Abbiamo detto nel nostro appuntamento del 7 gennaio che, secondo gli studi di Angelo Crosato, la chiesa di Aquileia è orientata nel punto dell’orizzonte in cui sorge il sole il giorno di San Marco, 25 aprile, e il giorno in cui cade la festa dell’Assunzione della Vergine, ovvero il 15 agosto. Pertanto l’asse della Basilica risulta orientata sia sul giorno di San Marco, sia sul giorno dell’Assunta.

Ipotesi sulla festa dell’Assunta ad Aquileia

Nelle ultime settimane sono usciti due studi dì Eva Spinazzé, che da anni si occupa di orientazioni di edifici sacri. Si tratta del volume La Pieve di San Pietro di Feletto e la teologia Aquileiese, uscito nel 2019 e del saggio L’orientazione delle centuriazioni romane e la disposizione degli edifici sacri di età medievale, uscito negli Atti dell’Accademia di San Marco di Pordenone, n. 21, 2019. La Spinazzé scrive che la festa dell’Assunta del 15 agosto è presente nel martirologio Geronimiano, il Martyrologium Hieronymianum, risalente al IV secolo: sappiamo che in precedenza la festa dell’Assunzione di Maria si celebrava il 18 gennaio, con il titolo di Deposizione o dormizione (in Eva Spinazzé, La Pieve di San Pietro …., 69, n. 130 e pp. 147-149; Martyrologium Hieronymianum, in Giovanni Battista de Rossi e Ludovico Duchesne, Acta Sanctorum Novembris, Société de Librairie, Bruxelles 1894, II, pars prior).

Secondo l’Enciclopedia Cattolica l’autore del calendario Geronimiano non fu San Gerolamo, su richiesta del vescovo di Aquileia Cromazio, bensì un chierico aquileiese; poiché la chiesa di Aquileia potrebbe essere la prima chiesa Mariana dell’occidente, si può ipotizzare che sia stata proprio Aquileia a introdurre la festa dell’Assunta il 15 agosto, dato che in Oriente essa fu introdotta dall’imperatore Maurizio (582-602) solo nel VI secolo, e anche a Roma e nel resto dell’Occidente si diffuse solo nei secoli VI/VII (in Spinazzé, p. 148).

Giustamente si dice che il culto mariano fu accolto ufficialmente dalla chiesa solo dopo il Concilio di Efeso del 431, in cui fu proclamato il dogma di Maria Madre di Dio, ma è anche vero che tale culto era già presente nei secoli precedenti, sia in Oriente che in Occidente: e forse fu proprio Aquileia a introdurre per prima la festa dell’Assunta il 15 agosto.

Se la chiesa di Aquileia fu dedicata alla Vergine perde ogni fondamento un’interpretazione dei mosaici della Basilica, in particolare quelli dell’Aula Nord, che sarebbero espressione di una chiesa gnostica. La gnosi, come è noto, fu la più grave e pericolosa eresia dell’antichità. In realtà i mosaici dell’Aula Nord sono un’esaltazione della domenica e del culto eucaristico, come quelli dell’Aula Sud sono una catechesi sulla Salvezza portata da Cristo, che ha il suo fulcro nella grande scena del profeta Giona, che notoriamente è la prefigurazione della Resurrezione di Cristo. Nulla di gnostico o di diverso dall’ortodossia cattolica di Roma dunque, come più di qualcuno continua a ripetere.

Il culto mariano e le eresie del IV-V secolo

Un’altra precisazione riguarda il contributo che la devozione mariana ha dato alla definizione del dogma cattolico. Qui il discorso sarebbe lungo, ma ci limiteremo a qualche cenno, anche per comprendere il ruolo che Aquileia ha avuto nelle diatribe teologiche del IV e V secolo, che hanno portato all’attuale consapevolezza della Chiesa sulla natura di Cristo. Dice infatti il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 464: «L’evento unico e del tutto singolare dell’Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano» (Catechismo della Chiesa Cattolica, § 464).

La più pericolosa eresia è certamente quella gnostica, che nega la vera umanità di Cristo e quindi anche il pensiero di Cristo, ritenendo che il vero pensiero sia quello greco, come se Cristo non avesse un pensiero e avesse bisogno della ragione greca; e poi l’eresia che nega la divinità di Cristo, l’eresia ariana, secondo la quale Cristo sarebbe una creatura, di un’altra sostanza rispetto al Padre. L’eresia ariana fu condannata dapprima nel Concilio di Nicea del 325, in cui si stabilì che Cristo è generato e non creato, della stessa sostanza del Padre, come recitiamo nel Credo, ma tale eresia è continuata per tutto il IV secolo, fino alla condanna definitiva ad Aquileia, dove si tenne un Concilio nel 381, che fu presieduto da Ambrogio, vescovo di Milano, e di Costantinopoli dello stesso anno, in cui si stabilì definitivamente che Cristo «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo».

Poco dopo, nel Concilio di Efeso del 431, Maria fu proclamata teotòkos, Madre di Dio, e in quello di Calcedonia del 451, si chiarì definitivamente che nella persona di Cristo ci sono due nature, come afferma l’attuale Catechismo della Chiesa cattolica al n. 464: «L’evento unico e del tutto singolare dell’Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano» (Catechismo della Chiesa Cattolica, § 464).

Ebbene, la devozione alla Madonna, soprattutto nella sua caratteristica di madre, come nell’icona della Madonna allattante, sviluppatasi sia in area egizio-palestinese, sia Roma, sin dai primi secoli, fu fondamentale per affermare l’umanità di Cristo, contro le eresie gnostiche, come fu fondamentale per formulare l’espressione theotòkos, che normalmente si traduce come ‘Madre di Dio’, ma che in realtà significa che Dio è nato da un parto, tòkos.

Un contributo importante alla diffusione del culto della Vergine fu dato poi dagli imperatori d’Oriente, a partire dal V secolo, quando l’imperatore Leone I collocò il velo della Madonna (maphòrion ˂ maphòrtes, ‘piccolo peplo o velo’ ) nella chiesa di S. Maria delle Blacherne a Costantinopoli, preceduta solo da una cappella mariana all’interno del palazzo di Costantino. La reliquia del velo, portata in processione secondo la tradizione, protesse Costantinopoli dagli assedi degli Avari (626), degli Slavi (674), degli Arabi (717) e dei Bulgari (813).

L’influenza del culto mariano in Friuli nei primi secoli cristiani

1) Possiamo ora esaminare due casi interessanti da cui si può capire quale fu l’influsso della devozione mariana nei primi secoli nel territorio friulano.

Il primo è un caso riguardante la lingua. Tutti conoscono la tipica espressione friulana per indicare il bambino, che è frut. Secondo Giuseppe Marchetti già nel latino aquileiese si utilizzava il termine fructus per indicare il bambino ed è stato ipotizzato che ciò fosse dovuto all’influenza del Cristianesimo e in particolare della recita della preghiera dell’Ave Maria, in cui è contenuta l’espressione «benedictus fructus ventris tui». In altre parole, la precoce diffusione del culto mariano ad Aquileia avrebbe influenzato anche la lingua latina locale. Ci sono altri casi di parole latine che hanno cambiato il loro significato per l’influenza delle vicende che hanno coinvolto le comunità cristiane. Basti pensare al termine traditores, che in origine significava coloro che tramandano qualche cosa. Se oggi in italiano traditori sono invece coloro che abbandonano una causa o vengono meno alla parola data, è perché durante le persecuzioni alcuni cristiani che avevano il compito di custodire e tramandare (tradere) i libri sacri li consegnarono invece alle autorità romane.

Che il friulano frut significhi bambino per influsso del cristianesimo non è accettato da tutti. Alcuni anni fa Mario Doria e più recentemente, da Carla Marcato, dell’Università di Udine, riconducono il significato di frut all’ambito agricolo e zootecnico, escludendo pertanto ogni riferimento all’ambito religioso. Secondo il Doria «sembra assai poco verosimile che la religiosità così profonda del parlante friulano abbia permesso che per la designazione del concetto di ‘bambino, ragazzo’ per il quale si impiegano molto spesso espressioni in origine spregiative si scegliesse una metafora alludente in modo marcato alla Divinità». Ma il Doria non prende in considerazione il fatto che il cambiamento di significato è avvenuto già nella lingua latina parlata ad Aquileia e quindi nel IV, V e VI secolo. Si tratta allora di capire come mai solo ad Aquileia e non in altre aree dell’Impero romano è avvenuto il mutamento. Il termine friulano frut poi non è che l’esito di tale mutamento. La lingua friulana infatti, come tutte le lingue neolatine, si è formata nel periodo successivo alle invasioni barbariche, anche se in epoca romana esistevano indubbiamente già varianti significative rispetto al latino delle classi dirigenti. È stato lo studioso Giuseppe Marchetti, morto nel 1966, a formulare la dizione di “latino aquileiese”, per indicare la variante di latino parlata in Friuli. Di essa abbiamo una precisa testimonianza in San Girolamo, il quale narra che il vescovo Fortunaziano (metà del IV secolo) scrisse un commento dei Vangeli in “rustico sermone”, ovvero nella lingua parlata dalla gente comune, che non era più in grado di capire il latino letterario. Ebbene la parola fructus, nel suo nuovo significato di bambino, fa parte del lessico popolare, come riteneva il Marchetti e come ritiene anche il linguista friulano Giovanni Frau (Frau. Linguistica foroiuliensis, p.34).

2) L’altro caso che prendiamo in considerazione è quello dei più antichi titoli delle chiese e quindi ritorniamo anche alla questione dell’orientazione degli edifici sacri.

Non solo la chiesa di Aquileia è orientata sulla festa dell’Assunta, ma molte altre antiche chiese del Friuli e di tutta l’area evangelizzata da Aquileia, che arrivava fino in Pannonia ad Est, fino alla Lombardia ad Ovest e fino al Norico a Nord. Innanzitutto la chiesa di Concordia, che risale alla fine del IV secolo, è orientata sul punto dell’orizzonte in cui il solo sorge il 2 febbraio, festa della Purificazione di Maria (Spinazzè, L’orientazione delle centuriazioni …, p. 328), mentre il battistero è orientato sul 15 agosto.

Secondo una nota tesi storiografica di Guglielmo Biasutti, in Friuli «ogni centro missionario primitivo veniva dedicato a Santa Maria in Gloria, identificata poi con Santa Maria Assunta, quasi a rispecchiare il titolo della chiesa episcopale di Aquileia, come questa, a sua volta, rispecchiava il titolo della chiesa episcopale di Alessandria d’Egitto, iniziata da San Teona (281-300) […] Allorché si rendeva necessaria l’istituzione di altre pievi, staccate dalla primaria di Santa Maria Assunta per il progredire dell’evangelizzazione, tali nuove pievi assumevano i titoli (presbiterale) di San Pietro e (diaconale) di Santo Stefano: e non a caso ma perché questi erano due titoli prediletti dai giudeo-cristiani, primo strato del cristianesimo aquileiese, e verso i quali la forza tenace della tradizione mantenne un atteggiamento preferenziale. Quando poi si impone una ulteriore cariocinesi, alla nuova pieve venne dato il titolo di San Lorenzo, perché questo martire [….] per i cristiani del sec. IV rifulgeva come il simbolo della vittoria del cristianesimo sul paganesimo, degno riscontro di Santo Stefano, che era stato il protomartire corifeo della quasi trisecolare lotta cristiana». Lo schema del Biasutti risulta certamente rigido e non sembra applicabile a tutte le realtà friulane.

Nella diocesi di Concordia, in questo modo avremmo due grandi centri di irradiazione missionari: Santa Maria di Calaresio, antico nome di Montereale Valcellina, forse l’antica Caelina, da cui sono poi derivate le chiese della montagna e della pedemontana, e Santa Maria Maggiore di Cordenons, insieme alla chiesa dei Santi Ilario e Taziano di Torre, da cui sono derivate buona parte delle chiese di pianura; oltre, naturalmente al monastero di Sesto al Reghena, che però risale all’alto medioevo. È chiaro comunque che la chiesa più antica della diocesi fu quella di Santo Stefano di Concordia, terminata nel 389. Anche questa del resto a orientazione mariana, perché il suo asse arriva sul sul punto dell’orizzonte in cui il solo sorge il 2 febbraio, festa della Purificazione di Maria (Spinazzè, L’orientazione delle centuriazioni …, p. 328), mentre il battistero è orientato sempre sul 15 agosto, come i battisteri paleocristiani di Aquileia e Cividale.

Roberto Castenetto